Armi chimiche sotto il mare
Lo scorso 25 febbraio è stato trasmesso dalla televisione francese ARTE il documentario “Armes chimiques sous la mer”. L'inchiesta indaga su una delle più scomode eredità lasciateci dalle due guerre mondiali: più di un milione e mezzo di tonnellate di armi chimiche, e si tratta di una stima assai approssimata per difetto, adagiate ancora oggi sui fondali marini. Una minaccia che si fa ogni giorno più pressante in quanto i fusti contenenti le armi, affondati tra il 1917 e il 1970 senza utilizzare eccessive precauzioni, stanno corrodendosi e cominciano a rilasciare il loro velenoso contenuto: soprattutto iprite, sarin e composti arsenici.
Una minaccia letale per i pescatori, i turisti e in generale per l'intero ecosistema, come dimostrano le analisi effettuate su alcuni pesci catturati nelle zone a rischio, i quali mostrano chiari segni di avvelenamento chimico e in alcuni casi perfino mutazioni del DNA.
Il documentario è stato realizzato da Bob Coen, Éric Nadler, Nicolas Koutsikas e prodotto da ARTE France, Georama TV, NHK, HLJTV, Mac Guff. Gi autori hanno, tra le altre cose, utilizzato interessante materiale d'archivio di ottima qualità, compresi spezzoni video dell'Istituto Luce e parti del documentario “Red Cod”, realizzato nel 2006 dall'ICRAM, oggi ISPRA.
L'inchiesta parte dall'Italia, per poi muovere verso la Germania, gli Stati Uniti, il Canada e il Giappone. Non senza un salto in Francia, poiché uno dei depositi sottomarini si trova non lontano dalle coste di Saint Tropez, località turistica che non ha bisogno di presentazioni.
Il documentario si avvale della collaborazione dell'Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, ente che annovera tra il suo personale alcuni dei massimi esperti del settore. I ricercatori ISPRA non mancano di sottolineare come le coste baresi, ricche di turismo e di pesca, siano in realtà uno dei siti più a rischio, come testimoniano alcuni pescatori intervistati nel documentario, proprio per la presenza di un ingente quantitativo di ordigni chimici sepolti a poca distanza dalla costa.
Recentemente, studiosi e giornalisti di diverse zone del mondo hanno cominciato a battersi per cercare e eliminare queste che possiamo definire delle vere e proprie bombe a scoppio ritardato, nonostante le autorità e gli stessi abitanti sembrino voler ignorare ostentamente il problema: prenderne atto potrebbe voler dire mettere a rischio il turismo e la pesca che in molte delle località interessate sono la principale fonte di sostentamento della popolazione.
Lo sforzo portato avanti da questo motivato gruppo di volontari è enorme sia per l'imprecisione degli archivi storici militari sia per la segretezza con cui a suo tempo le autorità militari vollero coprire i luoghi individuati per l'affondamento degli ordigni. A questo si aggiunga che viene spesso accampato, per ostacolare le loro ricerche, il segreto militare. Infine ci sono gli enormi costi di smaltimento e messa in sicurezza e il già citato timore di mettere in crisi la pesca e il turismo. Ma questo manipolo di scienziati e giornalisti non demorde, arrivando a coinvolgere nel suo lavoro anche l'OPAC, l'Organizzazione internazionale per la proibizione delle armi chimiche, con sede a L'Aia.
Documentario accattivante, ben realizzato e che riesce sempre a tenere alta l'attenzione dello spettatore, grazie anche all'ampio spettro delle ricerche effettuate, al suo spaziare dall'Europa all'America al Giappone e all'ingente mole di alta qualità del materiale utilizzato; pregi riconosciutigli e apprezzati dai 20 paesi che lo hanno già comprato.
Guarda il video di presentazione del documentario