Domande relative alle emissioni in atmosfera in Italia
AGRICOLTURA
Suoli-Lulucf
Luca Galazzo: Nel settore dell’agricoltura viene identificato un contributo dovuto alla deforestazione? Se aumenta il fabbisogno aumenterà la deforestazione con un decremento dell’assorbimento di CO2.
Le emissioni di gas serra derivanti dalle attività di deforestazione, sono stimati e riportati nel settore LULUCF (uso del suolo, cambiamento uso del suolo e selvicoltura.) dell’inventario nazionale delle emissioni e assorbimenti di gas serra. Le aree deforestate non potranno contribuire, negli anni successivi, all’assorbimento di carbonio.
Christiana Soccini: Sui sevizi ecologici sarebbe interessante comparare le emissioni dei suoli attualmente a foraggiere e gli stessi modellizzati ad arboricoltura e a foreste
Le emissioni e gli assorbimenti di carbonio dai suoli agricoli sono nel settore LULUCF, nelle categorie cropland (per le foraggere temporanee) e grassland (per le foraggere perenni ed i pascoli non gestiti). Le variazioni di carbonio sequestrato o emesso dai suoli agricoli sono la conseguenza di variazioni di pratiche gestionali (es. transizione da gestione ordinaria a gestione biologica). Dati ed informazioni sono incluse nel National Inventory Report (NIR) e qui. Sono disponibili inoltre le presentazioni della giornata di lavoro su stima e previsione del contenuto di carbonio nei suoli agricoli, organizzata da ISPRA il 20 aprile 2020.
Stefano Benedetti: Lo sfruttamento e recupero del biogas dai reflui zootecnici può a lungo andare determinare una significativa riduzione dell'apporto di carbonio organico nei terreni tale da favorire il processo di desertificazione degli stessi? Se così fosse...come ovviare a tale problema o trovare un equilibrio tra riduzione delle emissioni (biogas) e mantenimento delle proprietà produttive dei terreni?
In merito alla sua domanda una prima considerazione generale è che tutte le misure di mitigazione individuate hanno quasi sempre delle controindicazioni è che quindi andrebbero valutate considerando l’insieme delle conseguenze sui vari temi ambientali; in particolare la produzione di biogas da usare a fini energetici dai reflui animali e dagli scarti agricoli viene incentivata come misura di mitigazione dei gas serra come politica di sostituzione dei combustibili fossili con biocombustibili per la produzione di energia e calore ed ha come co-benefici la riduzione delle emissioni in atmosfera di ammoniaca e metano dalla fase di stoccaggio delle deiezioni animali. Ancora non è ben definito in senso normativo il ruolo e le caratteristiche di qualità del digestato come fertilizzante ed ogni regione ha le sue regole sul suo utilizzo. Mi sembra che sia in programma una definizione normativa dello stesso che forse può anche rispondere alla sua domanda sul tenore di carbonio organico nello stesso.
Il rischio di una riduzione dell'apporto di carbonio organico ai terreni non si presenta in quanto è pratica comune che il digestato venga utilizzato per la fertilizzazione delle colture al posto degli effluenti zootecnici da cui deriva. Anche se il tenore di carbonio organico del digestato risulta necessariamente inferiore rispetto a quello degli effluenti zootecnici, si tratta di un carbonio più stabile, che è quindi in grado di contribuire meglio all’accumulo di sostanza organica stabile nei suoli. Nelle zone poi dove la zootecnia non è più presente gli impianti di digestione anaerobica, grazie alla distribuzione del digestato, possono costituire un elemento che favorisce un ritorno di sostanza organica a suoli, che altrimenti rischiano effettivamente di impoverirsi.
Allevamenti
Ilaria Falconi: Qual è la percentuale delle consistenze zootecniche? La riduzione settore Agricoltura scenari 1990-2018 è del 13% come mai il valore nazionale rimane del 7% come per il precedente inventario.
Sulle presentazioni rese disponibili si può vedere il peso delle emissioni degli allevamenti e delle varie categorie animali. Per quanto riguarda il numero dei capi, è stato fornito solamente il dato relativo la riduzione nel 2018 rispetto al 1990 dei capi bovini, pari a -24%.
Il peso percentuale del settore dipende dal contributo emissivo di tutti i settori. Nel 2018 rispetto al 1990, non si sono ridotte solo le emissioni del settore agricoltura ma anche quelle del settore energetico e dei processi industriali (mentre il settore rifiuti ha registrato un leggero incremento). Ciò ha comportato che il contributo del settore agricoltura alle emissioni nazionali di gas serra sia rimasto sempre intorno al 7%.
Antonino Morabito: La riduzione nel settore agricoltura del 13%, è stato stimato e riportato in quale percentuale sia imputabile alla riduzione del 24% del numero dei capi bovini?
La stima delle emissioni è determinata da una molteplicità di parametri, che riguardano la consistenza dei capi, le modalità di allevamento e produzione del bestiame, la produzione dei reflui zootecnici, le tecniche di riduzione delle emissioni di ammoniaca, l’uso dei fertilizzanti di sintesi e degli altri apporti azotati ai suoli, le variazioni delle superfici e produzioni agricole, etc. pertanto non è possibile indicare con esattezza quanto pesa la variazione di un parametro rispetto ad un altro. Certamente la variazione delle consistenze e dell’uso dei fertilizzanti chimici sono variabili che contribuiscono notevolmente nella stima delle emissioni. Non abbiamo fatto ad oggi un’analisi disaggregata per conoscere l’effettiva incidenza di ciascuno dei parametri coinvolti nelle stime. Riteniamo tuttavia interessante e necessario avviare questo tipo di indagine.
Marco Genghini: La riduzione delle emissioni in agricoltura non evidenzia se la riduzione è attribuibile alla riduzione delle consistenze. In particolare dei bovini. Quale è stato questo andamento negli ultimi 30 anni?
Se vi è stata una riduzione di bovini di circa il 24% corrisponde più o meno alla riduzione delle emissioni. Quindi le mitigazioni hanno influito poco.
La variazione del numero di capi si può trovare nei rapporti che sono stati presentati durante l’evento, sia nel NIR che nell’IIR.
La stima delle emissioni è determinata da una molteplicità di parametri, che riguardano la consistenza dei capi, le modalità di allevamento e produzione del bestiame, la produzione dei reflui zootecnici, le tecniche di riduzione delle emissioni di ammoniaca, l’uso dei fertilizzanti di sintesi e degli altri apporti azotati ai suoli, le variazioni delle superfici e produzioni agricole, etc. pertanto non è possibile indicare con esattezza quanto pesa la variazione di un parametro rispetto ad un altro. Certamente la variazione delle consistenze e dell’uso dei fertilizzanti chimici sono variabili che contribuiscono notevolmente nella stima delle emissioni. Non abbiamo fatto ad oggi un’analisi disaggregata per conoscere l’effettiva incidenza di ciascuno dei parametri coinvolti nelle stime. Riteniamo tuttavia interessante e necessario avviare questo tipo di indagine. Aggiungo inoltre che, per quanto i gas serra, è più “difficile” mitigare le emissioni che derivano principalmente dai processi biologici degli animali, rispetto alle emissioni di ammoniaca, che si generano dal contatto delle deiezioni con l’atmosfera e che quindi possono essere più “facilmente” contenute. Quindi per quanto riguarda i gas serra, possiamo dire che la riduzione delle emissioni è per lo più dipesa dalla riduzione del numero di capi e dell’uso dei fertilizzanti sintetici (anche perché il biogas, secondo le nostre stime, attualmente non risulta una pratica di contenimento delle emissioni di metano, per via della bassa percentuale di deiezioni zootecniche avviate ai digestori). Invece se consideriamo le emissioni di ammonica, un contributo notevole alla riduzione delle emissioni deriva dalla diffusione delle pratiche di riduzione delle emissioni, dalla stalla allo spandimento, secondo le nostre stime a livello nazionale. Come detto, andando a guardare le realtà locali, in particolare le aree con più elevato carico zootecnico, maggiori azioni di contenimento delle emissioni andranno effettuate per raggiungere gli obiettivi stabiliti nell’ambito della direttiva NEC e per la riduzione dell’inquinamento atmosferico.
Stefano Gallo e Francesco Ciancaleoni: Le emissioni di gas serra prodotte dal settore agricolo ammontano al 7% delle emissioni nazionali, "Livestock's Long Shadow" (FAO) indica un 18%, mentre il Worldwatch Institute nel 2009 indica un 51%.
Il dato relativo al 7% si riferisce alle emissioni del settore agricoltura, determinate, come è stato detto, in particolare dalla gestione degli allevamenti e dall’uso dei fertilizzanti azotati. Non include tutta una serie di emissioni generate dalla produzione di prodotti utilizzati in agricoltura (sementi, fertilizzanti di sintesi, fitosanitari, mangimi, farmaci), dall’uso dei macchinari agricoli e di trasporto delle materie prime e dei prodotti realizzati in azienda, dai consumi energetici ed idrici nelle stalle, dalla produzione di materiali usati per le strutture edilizie e attrezzature usate nelle aziende agricole, dalla gestione dei rifiuti dell’azienda (ferro, legno, carta, plastica), etc. Le emissioni considerate nei processi descritti vengono conteggiati in altri settori dell’inventario nazionale delle emissioni. Negli studi da lei citati invece si attribuiscono alcuni o tutti i processi descritti al settore agricoltura.
Sebastiano Buffa: Da cosa è costituito il data base? In altre parole in base a quali dati si sostiene che l'agricoltura è responsabile del 94% delle emissioni di ammoniaca? Il primo suggerimento sull'alimentazione è parzialmente sbagliato.
Le stime dell’ammoniaca si effettuano sulla base di una metodologia definita dall’Agenzia europea dell’ambiente, alla quale obbligatoriamente tutti gli Stati Membri devono attenersi. Per la peculiarità del settore, le emissioni non sono di tipo puntuale, cioè derivanti da un punto di emissioni inequivocabilmente identificato, ma sono emissioni di tipo areale, distribuite sul territorio e pertanto è necessario effettuare delle stime per poterne quantificare il contributo annuale. Non esiste pertanto un database delle emissioni misurate per questo settore. Aggiungo che ogni anno le stime effettuate dall’ISPRA, che ha il compito istituzionale di fornire le stime ufficiali delle emissioni di gas serra ed inquinanti atmosferici del territorio nazionale, sono sottoposte a revisione da parte sia di un team di esperti delle Nazioni Unite, sia di un team europeo, che verifica e certifica la correttezza, l’accuratezza, la completezza dell’intero processo di stima.
Relativamente al commento sull’alimentazione, non so bene a cosa si riferisca, ma posso aggiungere maggiori dettagli su questo aspetto. Gli interventi descrittivi sulle diete si riferiscono all'ottenimento di una migliore efficienza alimentare nei ruminanti, realizzata anche attraverso il bilanciamento foraggi e concentrati così come l'applicazione di diete a basso tenore proteico. In particolare per le vacche da latte, nella composizione della dieta deve essere sempre considerata e favorita la fisiologia ruminale, per massimizzare la proteina sintetizzata nel rumine stesso, poi assimilata e utilizzata per le produzioni.
Christiana Soccini: Deiezioni al pascolo... ovini? Dove i bovini al pascolo? Avrà inteso la fertirrigazione (che non c'entra cmq con il pascolo). Vedremo meglio le relazioni.
Nella stima delle emissioni consideriamo una quota seppur minima di bovini al pascolo. Chiaramente le consistenze maggiori al pascolo sono equini, ovini e caprini.
Gianfranco Padovan: Utilizzo di ammendanti?
Sì, vengono considerati nella categoria Altri fertilizzanti organici, per i quali si stimano le emissioni di ammoniaca, ossidi di azoto (NOx e N2O). I dati di consumo derivano dalle indagini annuali effettuate dall’Istat.
Fabiana Surace: Come vengono rilevati i dati? I dati ambientali vengono rilevati a campione o ci sono delle stazioni fisse a rilevamento continuo? Sono delle modellizzazioni basate su stime?
Le stime delle emissioni si effettuano sulla base di una metodologia di stima definita dall’IPCC per quanto riguarda i gas serra e dall’Agenzia europea dell’ambiente per gli inquinanti atmosferici, alla quale obbligatoriamente tutti i Paesi devono attenersi nella elaborazione dell’inventario nazionale delle emissioni. Per la peculiarità del settore agricoltura, le emissioni non sono di tipo puntuale, cioè derivanti da un punto di emissioni inequivocabilmente identificato, ma sono emissioni di tipo areale, distribuite sul territorio e pertanto è necessario effettuare delle stime per poterne quantificare il contributo annuale. Non esiste pertanto una sorta di rilevamento delle emissioni misurate per questo settore.
Daniela Quarato: I dati del censimento sono un po’ datati perché riferiti al censimento del 2010. È possibile rispondere alla domanda sui dati del censimento del 2010? Non sono un pò troppo datati?
Certamente sì, ma si usano anche le indagini strutturali sulle produzioni e sulle aziende agricole (SPA), che l’Istat effettua ogni tre anni (l’ultima è del 2016). Come è stato detto durante l’evento, sarà necessario integrare queste informazioni di ordine statistico con i dati amministrativi sulla gestione dei reflui zootecnici, disponibili sul territorio, e che serviranno a verificare e a migliorare il processo di stima.
Francesca Allocco: La legge italiana prevede per UBA bovino un'emissione di azoto di 85 kg/a, ma la quantità di azoto dipende dalla nutrizione dell'UBA. Si ritiene che tale stima sia ancora attendibile? (Ambientalex)
Se si riferisce al valore di azoto al campo (netto) pari a 83 kg/capo/anno per le vacche, tale dato è rimasto invariato dal DM 2006 al DM 2016. Certamente l’azoto escreto dipende dall’alimentazione, ma si tratta di un valore di azoto al campo “standard” definito a livello nazionale, confermato nel 2016. Singoli casi possono anche discostarsi da questo valore in funzione di specifiche strategie alimentari.
Federica Bocedi: Vorrei porre una serie di domande:
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gli aggiustamenti sulla dieta delle bovine, sono sostenibili dal punto di vista della produzione del latte e sulle caratteristiche nutrizionali/tecnologiche del latte?
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per quanto riguarda gli animali al pascolo, l'emissione di feci in ambiente senza poterle controllare, che impatto ha in termini di emissioni di gas serra?
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I residui della fermentazione anaerobia, come vengono impiegati? Sono gestibili dal punto di vista sociale (mi riferisco all'odore che emanano)
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che differenze ci sono in termini di emissioni di GHG tra la combustione di biogas originato dai reflui zootecnici rispetto alla combustione di gas fossile? La tecnologia impiegata per la combustione dei due diversi combustibili, sono equiparabili o sono più sofisticate nel settore energetico e quindi riescono a essere meno impattanti?
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Consultati i colleghi del Centro ricerca produzioni animali (CRPA di Reggio Emilia), con cui collaboriamo da lungo tempo, le fornisco la seguente risposta. Relativamente agli interventi descrittivi sulle diete, questi si riferiscono all'ottenimento di una migliore efficienza alimentare nei ruminanti, realizzata anche attraverso il bilanciamento foraggi e concentrati così come l'applicazione di diete a basso tenore proteico. In particolare per le vacche da latte, nella composizione della dieta deve essere sempre considerata e favorita la fisiologia ruminale, per massimizzare la proteina sintetizzata nel rumine stesso, poi assimilata e utilizzata per le produzioni. Quando i fabbisogni nutritivi della bovina sono rispettati e la dieta apporta la quota di fibra effettiva a garanzia della corretta fisiologia ruminale, non si intravedono motivazioni per un peggioramento nella quantità e nella qualità di latte prodotto. La letteratura scientifica documenta molto bene una diminuzione della quantità di urea nel latte contestuale alla razionalizzazione degli apporti proteici della razione quando eccedono i reali fabbisogni.
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L’impatto delle emissioni di metano e protossido di azoto dal pascolo (bovini, bufalini, equini, ovini, caprini) è pari a circa il 3% rispetto alle emissioni di gas serra dell’intero settore agricoltura.
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Il digestato, prodotto dalla fermentazione anaerobica di matrici organiche, generalmente effluenti zootecnici, che avviene negli impianti di biogas, è destinato all’utilizzo agronomico sia tal quale che dopo un trattamento di separazione della frazione solida e liquida, allo stesso modo dei liquami/letami da cui deriva. Sono possibili anche trattamenti più spinti dai quali si ottengono fertilizzanti o ammendanti per uso agronomico (la legge 27 dicembre 2019, n. 160 stabilisce le condizioni con cui il digestato può essere considerato equiparabile a un fertilizzante chimico). Il digestato ha comunque un minor carico olfattivo rispetto al liquame tal quale, per via di una parziale degradazione della sostanza organica contenuta, in particolare gli acidi grassi volatili, che emanano cattivo odore. La minore offensività odorigena del digestato è comunemente riconosciuta in tutti gli studi internazionali.
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Le tecnologie utilizzate per la combustione non hanno un'incidenza diretta sulle emissioni di gas serra, poichè tali emissioni vengono calcolate a partire dalle caratteristiche dei combustibili, a prescindere da dove poi questi vengono utilizzati. Diverso è invece il discorso per le sostanze inquinanti, quali ad esempio gli ossidi di azoto, per cui le emissioni dipendono strettamente dal tipo di impianto e dalle modalità operative.Guardando invece alla prima parte della domanda, va precisato che mentre un gas fossile normalmente presente nelle reti italiane è per la quasi totalità composto da metano, il biogas da reflui zootecnici è una miscela di composizione variabile i cui componenti principali sono metano e ossidi di carbonio in percentuali variabili generalmente, per entrambi, tra il 40% e il 60%. Ciò fa sì che a tali gas corrispondano fattori di emissione diversi.
Simona Savini: E' stato citato, per diverse categorie di emissioni legate agli allevamenti, come la riduzione del numero dei capi abbia contribuito alla riduzione delle emissioni:
- Quali sono i numeri dei capi allevati per ogni specie che sono state prese in esame dal 1990 al 2018?
- Qual'é la stima percentuale del contributo alla riduzione delle emissioni (GHG e NH3) imputabile a tale diminuzione di capi allevati? Sarebbe inoltre interessante sapere se avete fatto delle stime del potenziale di riduzione delle emissioni legato a questo fattore.
Le categorie di animali considerate sono oltre ai bovini, suini, avicoli, anche bufalini, equini, ovini, caprini, conigli, animali da pelliccia, struzzi. Il numero di capi lo può trovare nei rapporti che sono stati presentati durante l’evento, sia nel NIR che nell’IIR.
Ad oggi non abbiamo quantificato esattamente il contributo imputabile alla riduzione delle consistenze del bestiame. La stima delle emissioni è determinata da una molteplicità di parametri, che riguardano la consistenza dei capi, le modalità di allevamento e produzione del bestiame, la produzione dei reflui zootecnici, le tecniche di riduzione delle emissioni di ammoniaca, l’uso dei fertilizzanti di sintesi e degli altri apporti azotati ai suoli, le variazioni delle superfici e produzioni agricole, etc. pertanto non è possibile indicare con esattezza quanto pesa la variazione di un parametro rispetto ad un altro. Certamente la variazione delle consistenze e dell’uso dei fertilizzanti chimici sono variabili che contribuiscono notevolmente nella stima delle emissioni. Non abbiamo fatto ad oggi un’analisi disaggregata per conoscere l’effettiva incidenza di ciascuno dei parametri coinvolti nelle stime. Riteniamo tuttavia interessante e necessario avviare questo tipo di indagine.
Simona Savini: Qual è il bilancio legato al biogas?
L'attività delle centrali a biogas determina una riduzione delle emissioni legate alla gestione dei liquami, mentre le emissioni ad esse legate vengono conteggiate nella voce "waste (se ho bene interpretato). E' stato fatto un bilancio complessivo delle emissioni e del potenziale di riduzione legato alla produzione di biogas? E' stato preso in considerazione anche il fatto che gli impianti di biogas necessitano di altro materiale oltre al "manure" - ad es. colture a fini energetici - e come questo possa aumentare il fabbisogno di suoli agricoli ad esso dedicati?
Le emissioni derivanti dagli impianti che producono energia con qualsiasi tipo di fonte (rinnovabile e non) vengono riportate nel settore energia; le emissioni legate alla gestione dei reflui zootecnici vengono riportate nel settore agricoltura. Nel settore waste sono riportate le emissioni derivanti dalla gestione dei rifiuti (si tratta in particolare di rifiuti urbani che finiscono in discarica). Non abbiamo fatto un’analisi integrata che contempli i benefici delle riduzioni delle emissioni nel settore energia, dovute alla produzione con combustibile rinnovabile, e delle mancate emissioni di metano dallo “stoccaggio” delle deiezioni nei digestori anaerobici, anche perché attualmente, come ho detto durante l’evento, nel settore agricoltura non ci sono i benefici attesi. Per quanto riguarda il settore agricoltura, l’uso dei reflui zootecnici andrà incrementato per raggiungere dei benefici in termini di emissioni evitate. La stima attuale delle deiezioni zootecniche avviate ai digestori è di circa il 13% rispetto al totale delle deiezioni prodotte (quindi molto bassa) e considerando la totalità dei substrati (deiezioni zootecniche, scarti agro-industriali, residui colturali, colture energetiche di primo raccolto e di integrazione), che costituiscono la dieta dei digestori anaerobici, la quota dei reflui zootecnici è pari a circa il 46%, che immaginiamo, con il sistema di nuovi incentivi (per la produzione di energia elettrica da biogas e per la produzione di biometano), nel prossimo futuro possa aumentare notevolmente. I dati stimati si riferiscono alla situazione media nazionale.
Per quanto riguarda il fabbisogno di suoli agricoli dedicati alla produzione di biogas, un’analisi fatta dal Consorzio italiano biogas (CIB) del 2016 stima che le superfici attualmente destinate alla produzione di primo raccolto siano pari a 200 mila ettari di superficie agricola utilizzata e si prevede che nel 2030 raddoppieranno. Probabilmente questi dati andranno rivisti, se è vero che i nuovi incentivi (citati precedentemente) prevedono una netta riduzione dell’uso delle colture energetiche e un maggiore sfruttamento dei reflui zootecnici.
POLITICHE E MISURE
Marina Poletti: Le tecniche di riduzione dei gas serra e di ammoniaca per il settore zootecnico sono difficilmente applicabili negli allevamenti di montagna. Il loro impatto è forse considerato trascurabile per le ridotte concentrazioni? Eppure, se considerassimo l'impatto per unità di prodotto (kg di latte/carne) gli impatti potrebbero essere maggiori, essendo questi molto meno produttivi.
La stima delle emissioni viene effettuata considerando le emissioni derivanti in particolare dalla gestione degli allevamenti (che derivano da processi biologici che avvengono durante le fasi di vita degli animali e che riguardano anche la decomposizione delle deiezioni prodotte dagli animali) e dall’apporto ai suoli dei fertilizzanti. Semplificando possiamo dire che le emissioni si ottengono moltiplicando un dato di attività (rappresentato dal numero di capi o dalle tonnellate di azoto apportato al suolo) per un fattore di emissione (che indica quanta sostanza viene emesso per ciascun capo allevato o per ciascuna tonnellata applicata al suolo). Consideriamo tutti i capi allevati sul territorio nazionale, anche quelli di montagna, e per quanto riguarda le tecniche di riduzione delle emissioni, consideriamo una percentuale di diffusione media, senza distinzione di fascia altimetrica. Sarebbe certamente interessante fare l’analisi da lei suggerita, per conoscere il contributo differenziato a seconda del tipo di produzione (intensivo/estensivo).
Fausto M.: come si interfacciano questi risultati con i piani di gestione acque di cui alla D2000/60? Quali misure sono da prevedere per mitigare gli effetti?
La direttiva quadro sulle acque prevede che venga rispettato anche quanto previsto nella direttiva nitrati sulla protezione delle acque dai nitrati e che prevede l’impiego e la diffusione delle migliori tecniche disponibili in materia di riduzione delle emissioni. Tali tecniche prevedono l’uso efficiente dell’azoto (che vuol dire ridurre gli apporti eccessivi, non richiesti dalle piante) e usare le tecniche di spandimento dei concimi che riducano la dispersione in atmosfera e la lisciviazione nelle acque, superficiali e profonde, delle forme azotate. Come detto durante l’evento, in generale per quanto riguarda la concimazione dei campi e guardando ad una gestione sostenibile del suolo, è necessario considerare anche altri fattori, quali il tenore dei nutrienti del suolo e l’apporto di nutrienti degli altri fertilizzanti, e considerare che le tecniche impiegate sono condizionate dalla tipologia delle colture e degli effluenti applicati, dalla tipologia dei suoli e dai fattori climatici.
Giorgio Provolo: Buongiorno. Sono un docente dell’Università di Milano e mi occupo delle problematiche dell’impatto ambientale degli effluenti zootecnici e delle tecniche di mitigazione. Ci sono aspetti relativi alle emissioni dal settore agricolo che sarebbe interessante approfondire. Nella presentazione, per ovvie ragioni di sintesi, alcune indicazioni mi sono sembrate un po’ semplificate (a esempio le emissioni di GHGs azzerate con il biogas). Mi interesserebbe avere più informazioni sulle fonti di dati utilizzate per la valutazione della diffusione delle tecniche di mitigazione che sono state introdotte in Italia (sono state citate le coperture delle vasche e i sistemi di distribuzione degli effluenti). Colgo l’occasione per segnalarvi due progetti di ricerca recenti che ho coordinato su questo tema:
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il primo è un progetto LIFE+ ENV ed è incentrato sulla riduzione delle emissioni nella distribuzione degli effluenti mediante fertirrigazione (https://www.lifearimeda.eu/)
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il secondo è un progetto finanziato dal PSR della Regione Lombardia mirato a dimostrare e informare sulle migliori tecniche di monitoraggio e gestione degli effluenti tutto il materiale prodotto è disponibile a questo link: https://costruzionirurali.unimi.it/geseffe-documenti/
La ringraziamo per il materiale fornito, che analizzeremo con interesse e sarà nostra cura contattarla per un proficuo scambio di informazioni. Le fonti dati utilizzate per monitorare la diffusione delle tecniche di riduzione sono, quanto meno per gli ultimi dieci anni, le indagini strutturali dell’Istat; mi riferisco al Censimento dell’agricoltura del 2010 e alle indagini strutturali sulle produzioni e sulle aziende agricole (SPA), che l’Istat effettua ogni tre anni (l’ultima è del 2016). In queste indagini una sezione è dedicata alla rilevazione dei dati sulla gestione delle deiezioni (dalla stalla allo spandimento). Questi dati, pur considerando tutta l’incertezza legata al processo di raccolta ed elaborazione, forniscono a nostro avviso una efficiente rappresentazione della situazione del Paese relativamente al fenomeno analizzato. Tuttavia tali dati necessitano di opportune verifiche con fonti di dati di tipo amministrativo, raccolti presso le Regioni, e che ci consentirebbero di migliorare la stima delle emissioni a livello nazionale e nella disaggregazione a livello provinciale, che ogni quattro anni l’ISPRA deve effettuare, nell’ambito della Convenzione UNECE sull’inquinamento transfrontaliero a lunga distanza.
BIOGAS
Giorgio Donnarumma: Con riferimento al Focus sulle emissioni derivanti dalle attività agricole e allevamenti vi rinnovo la domanda relativa all'utilizzo di biogas e biomassa per la produzione energetica in impianti di cogenerazione e trigenerazione. Sono disponibili studi sulle reali emissioni degli impianti di congenerazione alimentati a biogas? In particolare non è chiaro quali siano i limiti di emissione per alcuni inquinanti soprattutto per gli impianti di piccola e media potenzialità; tra questi sarebbe interessante approfondire la quantificazione dei Composti Organici Totali - COT (questi non solo derivanti dalla combustione) e delle Aldeidi che non mi risultano vengono monitorati e soprattutto non esistono limiti nazionali. Se possibile vorrei conoscere i limiti di emissioni e le metodiche di campionamento per il COT, NOx, SO2 e le Aldeidi (alcune delle aldeidi hanno soglie odorigene molto basse e possono creare fattori di molestia). La quantificazione dei COT con metodica FID (ionizzazione di fiamma) vengono contemplati nella valutazione delle emissioni degli impianti di produzione energetica da biogas?
Per quanto riguarda le emissioni in atmosfera degli impianti non soggetti ad AIA nazionale, le autorità competenti sono le Regioni che spesso a loro volta delegano ulteriormente alle province. In linea generale i riferimenti normativi per il rilascio delle autorizzazioni e la relativa individuazione dei limiti cui gli impianti devono attenersi bisogna fare riferimento alla parte quinta del D.Lgs 152/06 ed in particolare alla successiva modifica avvenuta con decreto 19 maggio 2016, n. 118 e con D.Lgs 15 novembre 2017, n. 183. Va comunque tenuto presente che possono essere adottate normative regionali più restrittive e prescrizioni specifiche nelle singole autorizzazioni agli impianti. Per quanto riguarda emissioni odorigene in genere ci possono essere disposizioni specifiche nelle singole autorizzazioni. Ma anche in questo caso la situazione può essere differente a livello regionale.
Maura Cappi: La valutazione dei biogas deve considerare anche le emissioni inquinanti dei biogas e la già forte concentrazione di questi in Lombardia (oltre 500) assieme alla forte concentrazione di allevamenti.
Nella stima delle emissioni consideriamo anche le emissioni di metano derivanti dalle perdite dell’impianto, dovute alle valvole di sfogo di sicurezza, quantificandole intorno all’1% del biogas prodotto.
A PROPOSITO DELL'INVENTARIO...
Gianfranco Padova: Con l'attuazione del PNIEC e del Green Deal si parla di economia decarbonizzata con obiettivi al 2030 di -50-55% di GHG. ISPRA potrebbe proporre una procedura per l'ente locale nell'ambito dei PAESC?
Ad oggi, l’adesione al Patto dei Sindaci prevede il rispetto di determinate linee guida sia in termini di impegni (riduzione delle emissioni di almeno il 40% entro il 2030, sebbene la scelta dell’anno base spetti al singolo Comune) sia per la rendicontazione delle informazioni (con tempistiche per la stesura dell’inventario delle emissioni, la presentazione del Piano d’azione e successivi monitoraggi). Si tratta, tuttavia, di iniziative volontarie. Una valutazione dello stato di attuazione dei PAES al 2020, nonché delle relative potenzialità aggiuntive, è stata condotta da ISPRA e pubblicata nel rapporto “Stato di attuazione del Patto dei Sindaci in Italia”, disponibile a questo link: http://www.isprambiente.gov.it/it/pubblicazioni/rapporti/stato-di-attuazione-del-patto-dei-sindaci-in-italia. Inoltre, un contributo pratico a livello tecnico per gli enti locali è fornito nella seguente pubblicazione ISPRA "Ridurre la emissioni climalteranti: indicazioni operative e buone pratiche per gli Enti Locali" (Quaderno 20/2019), scaricabile dal link http://www.isprambiente.gov.it/it/pubblicazioni/quaderni. I capitoli affrontano i tre settori che maggiormente contribuiscono alle emissioni dei gas serra nazionali: trasporti, produzione di energia e residenziale (riscaldamento) presentando una panoramica delle soluzioni rispettivamente disponibili per la mobilità sostenibile, le fonti rinnovabili e l'efficienza energetica (aspetti normativi, finanziari, bibliografia, sitografia,…), nonché alcune possibili buone pratiche.I capitoli si aprono con delle tabelle, rielaborate dall'Inventario nazionale delle emissioni e degli assorbimenti di gas serra, affinché sia chiaro il peso dei settori in termini di emissioni.
Daniele Pernigotti: Perché per l'agricoltura si riportano i dati espressi in emissioni di NH3 invece che N2O? Credo che l'inventario di GHG nazionale sia un tema sufficientemente complesso e articolato da meritare una presentazione ad hoc. Non capisco la ragione di presentare 2 diversi rapporti assieme... La presentazione dell'Inventario nazionale dei GHG è un’occasione unica per fare il quadro dello stato a livello nazionale. E' un peccato non dedicare l'incontro in modo esclusivo a questo tema.
L’idea iniziale era di una presentazione dell’inventario dei gas serra con approfondimenti settoriali in un evento della durata di un paio di giorni. Viste le ultime emergenze dovendo riconsiderare l’organizzazione si è pensato di fornire risultati anche su altri inquinanti che potessero essere di interesse evidenziando le interazioni dei settori e facendo capire che alcune fonti possono essere primarie o meno a seconda del gas/inquinante che si considera.
Sebastiano Buffa: Come vengono calcolate le emissioni? In base a un campionamento/rilevamento? O con fattori di emissione? E quanto sono datati questi fattori di emissione?
Le emissioni sono calcolate sulla base di fattori di emissione. I FE di riferimento sono pubblicati sul Guidebook EMEP/EEA e aggiornati ogni tre anni. La gran parte dei dati delle emissioni dell'inventario sono stimati mediante FE che tengono conto delle circostanze nazionali e sono rappresentativi della realtà attuale. I dettagli sono disponibili comunque sui NIR e IIR.
Marialuisa Volta: Quali sono le misure che rendono possibile la riduzione dei composti organici volatili così importante?
Le emissioni di COV, con riferimento al trasporto su strada, successivamente al 1993, come effetto dell’introduzione della normativa Euro 1 (Direttiva 91/441/CE) e delle normative successive, che prevedono l'uso di dispositivi catalitici, si riducono gradualmente, anche come conseguenza dell’utilizzo dei canister ai fini della limitazione delle emissioni evaporative. Ci sono poi altre direttive che hanno ridotto il contenuto di solventi nei prodotti e in alcuni impianti industriali. Direttiva 1999/13/CE del Consiglio, dell'11 marzo 1999, sulla limitazione delle emissioni di composti organici volatili dovute all'uso di solventi organici in talune attività e in taluni impianti e la Direttiva 2004/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, relativa alla limitazione delle emissioni di composti organici volatili dovute all'uso di solventi organici in talune pitture e vernici e in taluni prodotti per carrozzeria e recante modifica della direttiva 1999/13/CE.
Fulvio Stel: Avrei piacere di avere qualche informazione in più sulle emissioni di COVNM da oleodotti e metanodotti. In FVG abbiamo un importante deposito petroli
Come si può osservare dal reporting alla Convenzione LRTAP, le emissioni relative a oleodotti/metanodotti hanno un peso inferiore al 2% delle emissioni nazionali di COVNM del 2018. Informazioni aggiuntive su metodologie e dati saranno inviati separatamente per email.
Elisa Bini: A proposito del settore riscaldamento domestico e terziario, per quello che riguarda, in particolare, l'uso di biomassa, vorrei conoscere la fonte delle informazioni relative alla distribuzione delle diverse tecnologie degli impianti di combustione (e al relativo combustibile) che vengono utilizzate nell'ultimo aggiornamento dell'inventario nazionale per la stima delle emissioni da tale comparto. Vorrei, inoltre, sapere se avete informazione di Regioni che utilizzano (o hanno utilizzato) le informazioni raccolte nei Catasti regionali degli impianti termici per valutare le emissioni da combustione di biomassa in ambito domestico e terziario nei loro inventari regionali.
Le fonti della ripartizione delle tecnologie di combustione della biomassa legnosa sono differenti lungo la serie storica. Le principali sono:
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Gerardi V., Perrella G., 2001 - I consumi energetici di biomasse nel settore residenziale in Italia nel 1999. ENEA, Ente Nazionale per l’Energia e l’Ambiente, 2001, ENEA RT/ERG/2001/07;
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ARPA, 2007 – Stima dei consumi di legna da ardere ed uso domestico in Italia. Ricerca commissionata da APAT e ARPA Lombardia, Rapporto finale, marzo 2007;
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SCENARI/ISPRA, 2013. Indagine sull’uso e la disponibilità delle biomasse in Italia. 2013.
Per il 2015 e il 2018, le informazioni sull'uso del pellet, come disponibile nel bilancio energetico nazionale nei formati oggi disponibili, e sulle tecnologie pertinenti, fornite dalle associazione industriali della filiera (AIEL), sono state utilizzate per tenere conto dell'aumento del pellet utilizzato per il riscaldamento; l'aggiornamento è stato sviluppato tenendo conto anche dei risultati delle indagini sui consumi di legno e sulle tecnologie di combustione condotte da ISPRA (SCENARI / ISPRA, 2013) e ISTAT (ISTAT, 2014. I consumi energetici delle famiglie, 2013. Nota metodologica. Istituto Nazionale di Statistica www.istat.it ). Allo stato attuale sono allo studio risultati di diversi progetti, tra cui il progetto Prepair delle regioni del bacino padano. Per quanto riguarda i FE è in essere un contratto con Innovhub per l definizione, basata su misurazioni, di FE anche sulle tecnologie più avanzate e l’analisi di altri progetti portati avanti da associazioni dei consumatori (ALTROCONSUMO, 2018. Characterization of residential biomass fired appliances emissions with “real-world” combustion cycles. Technical Report (rev.2). Laboratorio Energia e Ambiente Piacenza. Società Consortile partecipata dal Politecnico di Milano. Piacenza December, 3rd 2018). Per quanto riguarda le informazioni raccolte nei Catasti regionali degli impianti termici, ci risulta che ci sia stata una valutazione da parte di ARPA Lombardia ma anche che ci siano delle difficoltà nella gestione e nell’utilizzo di tali dati. Proprio partendo da un approfondimento sullo sviluppo a livello regionale delle stime relative alle apparecchiature a biomassa, ma anche per altri temi come - per esempio – l’agricoltura, si stava considerando la convocazione del gruppo degli inventari locali e dei soggetti connessi agli inizi dell’estate. Alla luce della situazione attuale occorre verificarne la fattibilità e le modalità con cui potrebbe tenersi.
Sandra Volpato: Volevo aggiungere una osservazione, sperando possa essere utile per studi o ricerche di progettazione futura, visti i tempi! Invio per questo il link al Registro Ue E-PRTR, e chiedo se per le Emissioni in Aria sarebbero possibili confronti o comparazioni tra i dati del Inventario Nazionale e quelli del Registro UE per qualche composto chimico o attivita' industriale: https://www.eea.europa.eu/themes/air/links/data-sources/european-pollutant-release-and-transfer European Pollutant Release and Transfer Register (E-PRTR) — European Environment Agency
Sebbene non siano disponibili pubblicazioni dell'ISPRA su questo argomento, possiamo rispondere che è possibile mettere a confronto i dati delle emissioni in atmosfera inclusi nel registro EPRTR con i dati dell'inventario nazionale. Il confronto deve però tenere presente tutte le specificità delle due raccolte di dati. Bisogna ricordare infatti che campo di applicazione e criteri di compilazione (soglie alle potenzialità degli impianti e ai valori delle emissioni totali da dichiarare) del Registro EPRTR danno luogo a una raccolta dati che non è immediatamente confrontabile con l'inventario nazionale delle emissioni: nel registro ci sono solo alcune delle sorgenti puntuali di dimensioni medio-grandi presenti sul territorio nazionale, l'inventario fa riferimento a categorie sorgenti a prescindere dalle potenzialità degli impianti e che includono anche sorgenti diffuse, ciò significa che per un certo inquinante e per una certa categoria sorgente la stima delle emissioni presente nell'inventario è generalmente più grande e completa del valore di emissione in aria presente nel registro PRTR. Un esempio sulla portata delle differenze dei campi di applicazione possiamo riferirlo a quanto detto durante l'evento di ieri: uno dei focus ha riguardato le emissioni dal settore agricoltura che nell'inventario comprende oltre alle colture anche gli allevamenti; nel registro EPRTR invece mancano completamente le colture agricole mentre gli allevamenti intensivi compresi sono solo quelli suinicoli e avicoli (e non tutti ma solo quelli con numero di posti maggiori delle soglie stabilite dalla normativa di riferimento). Nell'eseguire il confronto tra i due repertori di dati è inoltre opportuno mappare le categorie sorgenti delle emissioni in atmosfera: nel registro EPRTR i dati sono legati alla sorgente dichiarante e comunicati come emissioni totali in atmosfera, essi non possono quindi essere confrontati direttamente con le stime delle emissioni dell'inventario dei soli processi industriali ma a questi dovrebbero essere sommati, per esempio, anche i contributi delle categorie corrispondenti legati agli aspetti "energetici" degli stessi impianti industriali (combustione per produzione di energia, vapore e calore). La comparazione dei dati PRTR/Inventario è utile e con tutti i limiti del caso fa parte delle operazioni interne all'ISPRA per valutare la qualità dei dati comunicati al registro PRTR italiano. Al livello europeo l'EEA ha implementato dei controlli automatici sui dataset nazionali che, per le emissioni in atmosfera, considerano i totali nazionali per inquinante e categoria sorgente del PRTR e li confrontano con i corrispondenti totali dell'inventario nazionale (UNECE-CLRTAP e UNFCCC) in modo da fornire un ulteriore riscontro su potenziali outlier, inconsistenze o dati mancanti nel registro.
Eleonora Sassone: Buongiorno, ho ascoltato con molto interesse il convegno sulle emissioni in atmosfera in Italia, per questo motivo, anche in occasione della giornata della Terra appena conclusa vorrei chiedervi se in quale modo fosse possibile presentare questi report alle forze politiche e al Ministro dell'ambiente Sergio Costa. In modo particolare è necessario che venga sottolineato come il PM10 presente soprattutto nella Pianura Padana contribuisca ad aumentare patologie alle vie respiratorie, di conseguenza l'aria inquinata non ha solo un effetto sul clima, ma anche sulla salute umana che deve essere tutelata dall'art. 32 della Costituzione. Soprattutto in questa fase delicata che si aprirà il 4 maggio è necessario portare all'attenzione dei politici come sia fondamentale agire e cambiare diverse abitudini ormai consolidate per permettere all'Italia di raggiungere gli obiettivi di diminuzione di gas serra previsti per il 2030. Inoltre è opportuno sottolineare come, secondo uno studio condotto da Alessandro Miani, presidente della Società italiana di medicina ambientale, risulta esserci una connessione tra inquinamento dell'aria e coronavirus, infatti nelle zone della Pianura Padana si sono verificate molte più vittime rispetto alle altre parti d'Italia. Gli studi scientifici sul punto effettuati dall'Istituto Superiore per la Protezione e la ricerca ambientale sono esaustivi in merito, specificando come la riduzione delle emissioni di gas serra registrati (5-7%) a causa della riduzione della mobilità dovute al COVID-19 su tutto il territorio nazionale non siano da computare come risultati per le politiche intraprese in questi mesi e di conseguenza non contribuiscono alla soluzione del problema. Infine, da ultimo vi chiedo se esistono report che indichino soluzioni volte a ridurre notevolmente il gas serra da presentare alle forze politiche con l'auspicio che in questo momento di crisi si affidino alla scienza e predispongano un progetto per la fase 2 che tenga conto della ripartenza economica, ma anche della tutela ambientale in modo tale da non vanificare i risultati raggiunti sino ad oggi. Vi ringrazio per la Vostra attenzione e da giovane attivista fortemente interessata a questi temi mi auguro che questo periodo di lockdown causato da forza maggiore abbia fatto riflettere molte persone sull'urgenza di intervenire per la tutela ambientale.
L'ISPRA ha collaborato alla predisposizione del Piano Nazionale Integrato Energia Clima (PNIEC), già comunicato alla UE, in cui sono riportate le politiche e misure da implementare per rispettare gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra al 2030 e sta collaborando alla stesura della Long Term Strategy (LTS) che sarà comunicata alla UE entro l'estate e che prevede misure e politiche da adottare per arrivare alle emissioni nette zero al 2050. Inoltre il Documento Economia e Finanza (DEF) include i dati annuali delle emissioni attuali e previste proprio per consentire il monitoraggio da parte della politica.
TRASPORTI
Luca Galazzo: Domanda: il contributo del PM10 dovuto ai trasporti è diminuito, ma allo stesso tempo è aumentato il pm2.5? Dal punto di vista della salute quest’ultimo ha maggiori complicazioni
Si rilevano diminuzioni sia per le emissioni di PM10 che PM2.5 provenienti dal settore dei trasporti totali, dal 1990 al 2018, rispettivamente pari a: -66.6% e -71.6%. Il peso relativo delle emissioni derivanti dall’insieme dei trasporti rispetto al totale emesso a livello nazionale, dal 1990 al 2018, passa da 30.2% a 16.8% per PM10, e da 36.7% a 16.7% per il PM2.5.
Elisabetta Guidobaldi: In vista della fase 2 con meno trasporti pubblici e più auto ci si aspetta un nuovo boom di emissioni?
Non abbiamo ancora effettuato valutazioni quantitative in merito. Ma con la metodologia semplificata con la quale stimiamo le emissioni trimestrali di gas serra monitoreremo durante l’anno l’andamento dei consumi energetici e delle emissioni e provvederemo a comunicare tali dati su base trimestrale in concomitanza con i dati forniti dall’ISTAT sul PIL.
Silvio Colapaoli: Che potenzialità ha il biogas per l'autotrazione?
La rilevanza è in prospettiva. Al 2018, più recente aggiornamento dell’inventario nazionale delle emissioni, non ne viene stimato il contributo; con riferimento al consumo su strada di gas naturale di origine fossile, risulta pari al 2.6% il peso rispetto al totale nazionale dei consumi su strada nel 2018. Guardando all'orizzonte 2030, in generale tutti i biocarburanti avanzati dovranno presumibilmente svolgere un ruolo non trascurabile. Secondo il Piano nazionale energia e clima, infatti, si prevede di superare l’obiettivo specifico previsto da direttiva, pari al 3,5% al 2030, attraverso il meccanismo di incentivazione previsto per il biometano e gli altri biocarburanti avanzati (con D.M. 2 marzo 2018 e successivi decreti) fino al raggiungimento di un obiettivo intorno all’8%. Il biometano dovrebbe contribuire per circa il 75% di tale quota.
Silvio Colapaoli: In percentuale, quanto pesano gli attriti e gli sfregamenti per il PM? C'è una stima?
Alberto Andreoni: è possibile fornire una indicazione nel contributo del trasporto su strada dei particolati tra la combustione e l'attrito e conseguente consumo degli pneumatici? i freni possono essere altro fattore?
Nell’inventario nazionale delle emissioni, oltre alla quota emessa da combustione (exhaust), viene stimato anche il contributo non exhaust fornito dall’usura di pneumatici e freni (1A3bvi Road transport: Automobile tyre and brake wear) e dall’abrasione della strada (1A3bvii Road transport: Automobile road abrasion). Con riferimento al 2018, per il PM2.5 il contributo dell’usura di pneumatici e freni rispetto al totale emesso su strada è pari a 31.6%, mentre il contributo da abrasione della strada è pari al 15.7%; per il PM10 tali pesi nel 2018 sono rispettivamente pari a: 41.2% e 20.9%.
PM SECONDARIO
Manuele Molinari: Dalla relazione non sono riuscito ad intuire l'effettiva incidenza, in termini % dell'ammoniaca come precursore del particolato, e più in particolare del PM2,5. Vi chiederei inoltre se l'ammoniaca, oltre alla formazione del particolato, gioca un ruolo indiretto anche nella formazione di altri inquinanti atmosferici e eventualmente con quale peso.
Non è possibile fornire una risposta di carattere generale, il contributo al particolato secondario legato all'ammoniaca dipende da una molteplicità di fattori che rendono la relazione non lineare e non dipendente dalla sola ammoniaca, ma dalle condizioni al contorno e dall'abbondanza relativa degli altri reagenti presenti nel sistema. Se per esempio la componente secondaria è costituita da solfato di ammonio il contributo dell’ammoniaca dipenderà, oltre che dagli altri fattori, anche dall'abbondanza dei solfati. Possiamo tuttavia fornire delle informazioni ulteriori che possono dare indicazioni più specifiche. Da quanto detto, innanzitutto si evince che il contributo può variare notevolmente a livello territoriale non solo per differenti quadri emissivi ma anche per diversità meteorologiche e orografiche. In particolare, in Pianura Padana l’aerosol secondario inorganico rappresenta una componente molto importante sia del PM2.5 che del PM10. L'ammoniaca, emessa soprattutto dalle attività agricole e zootecniche, combinandosi con il biossido di zolfo e con gli ossidi di azoto provenienti dalle combustioni, porta alla formazione di nitrato d'ammonio e solfato d'ammonio in fase particolato per cui l’impatto dell’ammoniaca emessa dalla sorgente agricoltura è strettamente accoppiato a quello delle altre combustioni. Un compendio dei risultativi di alcuni studi regionali sulla composizione del materiale particolato e relativi source apportionment (ricostruzione delle sorgenti a partire dall'analisi chimica del PM campionato nelle stazioni di monitoraggio) si trova in: “AA.VV., 2016. Il particolato atmosferico: composizione e problematiche emergenti alla luce dei risultati dei progetti di supersito. Riportato all'interno del Focus sull'inquinamento atmosferico accoppiato al XII Rapporto Aree Urbane di ISPRA disponibile all'indirizzo http://www.isprambiente.gov.it/it/pubblicazioni/stato-dellambiente/qualita-dellambiente-urbano-xii-rapporto.-focus-su-inquinamento-atmosferico-nelle-aree-urbane-ed-effetti-sulla-salute. L’ammoniaca inoltre è coinvolta nelle emissioni indirette di protossido di azoto (N2O, che è considerato uno dei principali gas climalteranti) in quanto derivanti dalla deposizione di azoto emesso come NOx (ossidi di azoto) e NH3 (ammoniaca). Il protossido di azoto viene prodotto nei suoli attraverso i processi biologici di nitrificazione e denitrificazione costituendo un intermedio gassoso nella sequenza delle reazioni. Quindi, uno dei principali fattori di controllo in questa reazione è la disponibilità di azoto inorganico nel suolo derivante anche delle emissioni di ammoniaca.
Fausto Cavalli: Nella relazione “Il contributo dei gas a effetto indiretto e il particolato” si fa riferimento nelle tabelle esposte e da quanto ho capito solo al particolato primario. Quant’è la valutazione della quota di particolato complessivo (primario+secondario) di incidenza delle emissioni da parte degli allevamenti? Detto in altro modo, desidererei una vostra valutazione sulla quota di trasformazione dell’ammoniaca in particolato secondario e questo sul totale del particolato?
Non è possibile fornire una risposta di carattere generale, il contributo al particolato secondario legato all'ammoniaca dipende da una molteplicità di fattori che rendono la relazione non lineare e non dipendente dalla sola ammoniaca, ma dalle condizioni al contorno e dall'abbondanza relativa degli altri reagenti presenti nel sistema. Se per esempio la componente secondaria è costituita da solfato di ammonio il contributo dell’ammoniaca dipenderà, oltre che dagli altri fattori, anche dall'abbondanza dei solfati. Possiamo tuttavia fornire delle informazioni ulteriori che possono dare indicazioni più specifiche. Da quanto detto, innanzitutto si evince che il contributo può variare notevolmente a livello territoriale non solo per differenti quadri emissivi ma anche per diversità meteorologiche e orografiche. In particolare, in Pianura Padana l’aerosol secondario inorganico rappresenta una componente molto importante sia del PM2.5 che del PM10. L'ammoniaca, emessa soprattutto dalle attività agricole e zootecniche, combinandosi con il biossido di zolfo e con gli ossidi di azoto provenienti dalle combustioni, porta alla formazione di nitrato d'ammonio e solfato d'ammonio in fase particolato per cui l’impatto dell’ammoniaca emessa dalla sorgente agricoltura è strettamente accoppiato a quello delle altre combustioni. Un compendio dei risultativi di alcuni studi regionali sulla composizione del materiale particolato e relativi source apportionment (ricostruzione delle sorgenti a partire dall'analisi chimica del PM campionato nelle stazioni di monitoraggio) si trova in: “AA.VV., 2016. Il particolato atmosferico: composizione e problematiche emergenti alla luce dei risultati dei progetti di supersito. Riportato all'interno del Focus sull'inquinamento atmosferico accoppiato al XII Rapporto Aree Urbane di ISPRA disponibile all'indirizzo http://www.isprambiente.gov.it/it/pubblicazioni/stato-dellambiente/qualita-dellambiente-urbano-xii-rapporto.-focus-su-inquinamento-atmosferico-nelle-aree-urbane-ed-effetti-sulla-salute L’ammoniaca inoltre è coinvolta nelle emissioni indirette di protossido di azoto (N2O, che è considerato uno dei principali gas climalteranti) in quanto derivanti dalla deposizione di azoto emesso come NOx (ossidi di azoto) e NH3 (ammoniaca). Il protossido di azoto viene prodotto nei suoli attraverso i processi biologici di nitrificazione e denitrificazione costituendo un intermedio gassoso nella sequenza delle reazioni. Quindi, uno dei principali fattori di controllo in questa reazione è la disponibilità di azoto inorganico nel suolo derivante anche delle emissioni di ammoniaca.
COVID
Claudio Torrenzieri: È possibile rilevare nei filtri delle centraline Arpa la presenza o meno e in che quantità di particelle di Covid-19? Diversi docenti-ricercatori universitari hanno avanzato l'ipotesi di una correlazione fra particolato e Covid. È possibile che anche in Italia i docenti-ricercatori universitari possano accedere ai dati delle centraline Arpa per svolgere compiutamente la loro ricerca così da validarla?
Alessia Tondo: Si parla di relazione tra particolato e covid senza parlare di inversione termica, è stato fatto piuttosto messo in relazione il covid con spargimento liquami. Esistono dati sulle inversioni termiche?
Gianfranco Padovan: è in corso l'analisi del collegamento della qualità dell'aria e virulenza dei virus (Covid-19 e altri virus così detti stagionali)?
Alberto Di Mulo: Ambiente e Salute. Dati di inquinanti polveri sottili e correlazione casi di infezione. L' ISPRA sta dialogando per con SNPA ISS e PC per studi a carattere nazionale di supporto o in sostituzione all'attività tecnico-scientifica.
Rispetto alla relazione tra Covid-19 e particolato, al momento non ci sono evidenze scientifiche e l’ISPRA insieme al sistema SNPA si sta attivando per effettuare studi che possano ampliare la conoscenza su questa materia.