I nessi tra pandemie e declino della biodiversità in un rapporto IPBES
Lorenzo Ciccarese
Ispra – Area per la conservazione di specie e habitat terrestri e la gestione sostenibile sistemi agro-forestali
National Focal Point dell’Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services
Realizzato da 22 esperti di rilevanza mondiale, nei campi della zoologia, della sanità pubblica, dell’economia e della giurisprudenza, il documento spiega le cause del Covid-19 e propone soluzioni per uscire dall'era delle pandemie.
Il rapporto IPBES ricorda che il Covid-19 è almeno la sesta pandemia sanitaria globale dalla Grande Pandemia Influenzale del 1918 e che, sebbene abbia le sue origini in patogeni trasmessi dagli animali, la sua comparsa è stata interamente determinata dalle attività umane. Si stima che in natura siano presenti 1 milione e 770 mila virus ancora "non conosciuti”, che utilizzano mammiferi e uccelli come ospiti. Di questi un numero compreso tra 540.000 e 850.000 potrebbe avere la capacità di infettare le persone.
Nuove pandemie potrebbero affiorare con maggiore frequenza in futuro, propagarsi più rapidamente, causare più danni alle economie mondiali e più morti del Covid-19. A meno che non ci sia un cambio trasformazionale («transformative change») nel modo in cui affrontiamo a scala globale le malattie infettive, privilegiando la prevenzione invece che attendere lo scoppio di zoonosi e altre malattie e reagire.
Sono queste le conclusioni del rapporto pubblicato a fine ottobre da IPBES. Il documento dell’Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services, massima autorità scientifica su natura e biodiversità, descrive in modo dettagliato i nessi tra declino della biodiversità e pandemie.
A partire dal COVID-19, la sesta pandemia sanitaria globale dai tempi della Grande Pandemia Influenzale del 1918. Anche in questo caso ci sono di mezzo patogeni trasmessi dagli animali, ma mai come in questo caso la scoppio della pandemia è stata determinata dalle attività umane. “Non c’è un grande mistero sulla causa della pandemia Covid-19 – o di qualsiasi pandemia moderna – ha affermato Peter Daszak, presidente di EcoHealth Alliance, uno degli autori principali del rapporto IPBES – Le attività umane che causano il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità sono le stesse che, attraverso i loro impatti sul nostro ambiente, conducono al rischio di pandemia. I cambiamenti nell’uso del territorio, l’espansione e l’intensificazione dell’agricoltura e del commercio, la produzione e il consumo non sostenibili stanno sconvolgendo la natura e aumentando il contatto tra fauna selvatica, animali allevati, agenti patogeni e persone. Questo è il percorso verso le pandemie”.
Il rapporto afferma che l’aumento delle malattie emergenti è legato al «recente aumento esponenziale dei consumi e del commercio, guidato dalla domanda nei paesi sviluppati e nelle economie emergenti, nonché dalla pressione della popolazione in aumento. L’ultimo secolo è stato un periodo di cambiamento ecologico senza precedenti, con drastiche riduzioni degli ecosistemi naturali e della biodiversità e altrettanto drammatici aumenti di persone e animali domestici.
Mai prima d’ora il pianeta ha ospitato così tanti animali domestici o d’allevamento e da così tanti umani. E mai prima d’ora sono esistite così tante circostanze per i patogeni di passare dagli animali selvatici, domestici e domesticati alle persone, attraverso l’ambiente biofisico, causando malattie conosciute come zoonosi.
Circa il 60% di tutte le malattie infettive negli esseri umani sono zoonotiche, così come il 75% di tutte le malattie infettive emergenti.
In media, secondo il nuovo rapporto IPBES, una nuova malattia infettiva emerge nell’uomo ogni quattro mesi. Molte provengono dalla fauna selvatica. Il bestiame spesso funge da ponte epidemiologico tra fauna selvatica e infezioni umane. Questo è particolarmente vero per il bestiame allevato in modo intensivo, le cui mandrie o greggi—essendo allevate per caratteristiche di produzione piuttosto che per resistenza alle malattie—mancano di quel grado di diversità genetica che fornisce resistenza e resilienza alle infezioni. Un esempio di bestiame che agisce come un “ponte della malattia” è il caso dell’influenza aviaria, i cui virus prima circolavano negli uccelli selvatici, poi hanno infettato il pollame domestico e da qui anche gli umani.
Prevenire le pandemia riducendo il contatto con la fauna selvatica
Il rapporto afferma che il rischio di pandemie può essere notevolmente ridotto, contenendo le attività umane che causano la perdita di biodiversità, aumentando il livello di conservazione della natura, allargando l’estensione delle aree protette esistenti, creandone delle nuove, riducendo lo sfruttamento insostenibile delle regioni del pianeta ad alto grado di biodiversità. Ciò ridurrà le occasioni di contatto tra fauna selvatica, bestiame e esseri umani e aiuterà a prevenire la diffusione di nuove malattie.
”La schiacciante evidenza scientifica indica una conclusione molto positiva – ha affermato Daszak – Possiamo contare su una crescente capacità di prevenire le pandemie, ma il modo in cui le stiamo affrontando in questo momento non tiene in considerazione gran parte di questa capacità. Il nostro approccio è effettivamente in una fase di stallo: facciamo ancora affidamento sui tentativi di contenere e controllare le malattie dopo che si sono manifestate, puntando su vaccini e terapie. Possiamo sfuggire all’era delle pandemie, ma ciò richiede una maggiore attenzione alla prevenzione oltre alla reazione”.
Secondo Daszak i cambiamenti radicali che l’attività umana è stata in grado di produrre sul nostro ambiente naturale non devono essere sempre visti come eventi negativi. Questi forniscono anche una prova convincente del nostro potere di guidare il cambiamento necessario per ridurre il rischio di future pandemie. Dalle attività umane si possono generare vantaggi per la conservazione e per mitigare il cambiamento climatico e i suoi effetti”.
Prevenire le malattie ha costi 100 volte inferiori rispetto vaccini e terapie
Il rapporto afferma che fare affidamento sulle risposte alle malattie dopo la loro comparsa, per esempio ricorrendo a misure di salute pubblica e a soluzioni tecnologiche e in particolare alla rapida preparazione e alla distribuzione di nuovi vaccini e terapie, è un “percorso lento e incerto”, sottolineando come la reazione alle pandemie comporti una diffusa sofferenza umana e decine di miliardi dollari l’anno di danni all’economia globale.
A luglio 2020, i costi stimati di Covid-19 sono compresi tra 8 e 16 trilioni di dollari a livello globale. Inoltre, si stima che i costi nei soli Stati Uniti d’America possano raggiungere 16 trilioni di dollari entro il 4° trimestre del 2021. Gli esperti stimano il costo di ridurre i rischi per evitare che le pandemie siano 100 volte inferiori al costo di risposta a tali pandemie, “fornendo forti incentivi economici per il cambiamento trasformativo”.
Le proposte operative del rapporto IPBES per affrontare le pandemie
Il rapporto offre anche una serie di opzioni politiche che aiuterebbero a ridurre e affrontare il rischio di pandemia. Per prima cosa, l’IPBES propone l’istituzione d’una commissione intergovernativa di alto livello sulla prevenzione delle pandemie con il compito di fornire ai governi la migliore scienza ed evidenza sulle malattie emergenti, di segnalare le aree ad alto rischio di scoppio di epidemie, di sviluppare un sistema di monitoraggio globale, di valutare l’impatto economico di potenziali pandemie, di evidenziare le lacune conoscitive e il bisogno di ricerca.
Il rapporto ritiene che sia giunto il tempo di giungere a accordo multilaterale globale sulle pandemie e di istituzionalizzare l’approccio “One Health” (pianeta sano, vita selvatica sana, persone sane). Altro tema prioritario per i governi è la predisposizione di programmi di preparazione e prevenzione delle pandemie e l’integrazione della valutazione del rischio di impatto sulla salute di malattie pandemiche ed emergenti nei principali programmi e progetti di sviluppo e di uso del suolo, riformando al contempo gli aiuti finanziari per l’uso del suolo in modo che i benefici e i rischi per la biodiversità e la salute siano riconosciuti e mirati esplicitamente.
Altri punti di rilievo sono i seguenti:
- Garantire che il costo economico delle pandemie sia preso in considerazione nei processi di produzione e consumo, come pure nelle politiche e nei budget del governo.
- Favorire le trasformazioni necessarie per ridurre i modelli di consumo, di espansione dell’agricoltura globalizzata e di commercio che hanno portato a pandemie, anche includendo tasse o fiscalità su consumo di carne, produzione di bestiame e altre forme di attività ad alto rischio pandemico.
- Ridurre i rischi di malattie zoonotiche nel commercio internazionale di specie selvatiche attraverso: un nuovo partenariato intergovernativo “Salute e Commercio”; la riduzione o l’eliminazione delle specie ad alto rischio di malattia nel commercio della fauna selvatica; il rafforzamento dell’applicazione della legge in tutti gli aspetti del commercio illegale della fauna selvatica; e il miglioramento dell’educazione delle comunità locali nei siti hotspot delle malattie rispetto ai rischi per la salute legati al commercio di fauna selvatica.
- Valorizzare l’impegno e la conoscenza delle popolazioni indigene e delle comunità locali nei programmi di prevenzione delle pandemie, assicurando un maggior livello di sicurezza alimentare e riducendo il consumo di fauna selvatica.
- Colmare le lacune più critiche di conoscenza, come quelle sui comportamenti a rischio, l’importanza del commercio illegale, non regolamentato, ma anche di quello legale e regolamentato, della fauna selvatica, in relazione al rischio di insorgenza di malattie e migliorare la comprensione della relazione tra degrado dell’ecosistema e ripristino, struttura del paesaggio e rischio di comparsa della malattia.
Sebbene non sia uno dei tipici rapporti di valutazione intergovernativa dell’IPBES, si tratta di una straordinaria pubblicazione, realizzata da 22 esperti di rilevanza mondiale, nei campi della zoologia, della sanità pubblica, dell’economia e della giurisprudenza, in rappresentanza di tutti i continenti. Il loro lavoro è stato sottoposto a revisione tra pari, basato sulle evidenze scientifiche più recenti: 600 sono gli studi citati, di cui un terzo pubblicati dal 2019 in poi.